In seguito alla larga diffusione dei birrifici artigianali su tutto il territorio nazionale, il governo ha approvato il 6 luglio scorso, una legge che fa chiarezza nel settore della produzione della birra artigianale.
La definizione di birra artigianale
Nel DDL 1328-B “Disposizioni in materia di semplificazione, razionalizzazione e competitività dei settori agricolo e agroalimentare, nonché sanzioni in materia di pesca illegale” , in particolare all’ Art 35, si legge: “Si definisce birra artigianale la birra prodotta da piccoli birrifici indipendenti e non sottoposta, durante la fase di produzione, a processi di pastorizzazione e di microfiltrazione…. si intende per piccolo birrificio indipendente un birrificio che sia legalmente ed economicamente indipendente da qualsiasi altro birrificio, che utilizzi impianti fisicamente distinti da quelli di qualsiasi altro birrificio, che non operi sotto licenza di utilizzo dei diritti di proprietà immateriale altrui e la cui produzione annua non superi 200.000 ettolitri, includendo in questo quantitativo le quantità di birra prodotte per conto di terzi”
Cosa cambia
Questa definizione è un traguardo importante in quanto sancisce la differenza fondamentale tra birrifici artigianali e impianti industriali.
Oltre al limite di produzione di 200.000 ettolitri, ad essere regolamentato è anche il processo di produzione.
Per definire il prodotto “birra artigianale” infatti il processo produttivo deve escludere due passaggi, quali pastorizzazione e microfiltrazione. Ciò implica che la bontà del prodotto, oltre ad essere garantita dalla qualità delle materie prime, venga garantita anche da un metodo di lavorazione “più artigianale” che ne preserva le proprità organolettiche e nutrizionali.
Dal vecchio al nuovo
L’approvazione della legge, ha anche permesso di superare le disposizioni della Legge quadro per l’artigianato 443/1985, che prevedeva la classificazione delle aziende artigiane solo in base alle dimensioni.
Inoltre secondo la vecchia legge, sull’etichetta, la birra poteva essere classificata solo in base al grado plato (cioè il contenuto di zucchero nel mosto) riducendo le classificazioni a: birra, birra analcolica, birra leggera (o light), birra doppio malto e birra speciale. Ciò, oltre a causare confusione, impediva di fatto al consumatore di sapere se la birra fosse effettivamente artigianale.
La filiera italiana del luppolo
Un altro interessante punto della legge è trattato nell’Art.36: “Il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali… favorisce il miglioramento delle condizioni di produzione, trasformazione e commercializzazione nel settore del luppolo e dei suoi derivati…il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali destina quota parte delle risorse iscritte annualmente nello stato di previsione del medesimo Ministero….al finanziamento di progetti di ricerca e sviluppo per la produzione e per i processi di prima trasformazione del luppolo, per la ricostituzione del patrimonio genetico del luppolo e per l’individuazione di corretti processi di meccanizzazione”
L’Articolo 36 sottolinea come l’intento del Governo sia quello di finanziare e favorire anche la valorizzazione delle materie prime, in particolare del luppolo.
Infatti l’utilizzo di luppolo italiano per la produzione della birra, può da un lato rappresentare un valore aggiunto per il prodotto nostrano e dall’altro una buona fonte occupazionale che va di pari passo alla diffusione dei birrifici artigianali.
Adempimenti e accise
Dopo questo primo passo avanti, la speranza è che a seguire ci sia anche una riduzione degli adempimenti e delle accise che gravano sui microbirrifici, come lasciano ben sperare le parole della deputata del M5S Chiara Gagnarli: “ Proporremo nuovi provvedimenti nella prossima legge di stabilità. Del resto si tratta di passaggi che, come la definizione di birrifici indipendenti, sono già stati previsti dalla direttiva europea CE 92/83/CEE”.